In this first podcast, I want to talk about the Italian language and its origins. Imagine a country divided for centuries: many lords and powers, many languages and no possibility to communicate between regions. Then, imagine the desire to create a language able to unify the whole peninsula. This was a strong desire in Dante’s times and was not solved until the beginning of 1900. But if Italy was divided into many different minor languages, which could be the language able to fulfill this purpose?
For centuries, Latin was the language of the literature, a language for rich and educated people. Daily communication used languages and dialects coming from Latin and called “vulgar”. Dante, Petrarca, and Boccaccio in 1300 started using this language of the poor for their masterpieces and elevated the dialect of Florence to a language that will evolve into contemporary Italian. But the story doesn’t end here. Follow me on this journey into the history of Italian language and practice your listening with me!
Trascrizione
Buongiorno a tutti, buon martedì e ben ritrovati al nostro podcast settimanale dedicato alla letteratura italiana.
Oggi voglio parlare un po’ delle origini della lingua italiana. È una storia lunga, ma cercherò di essere breve e sintetica.
Allora…
L’italiano di oggi ha ancora, in parte, la stessa grammatica e usa ancora lo stesso lessico dell’italiano fiorentino letterario del Trecento. Fiorentino significa l’italiano che era parlato nella città di Firenze.
In Italia oggi, come molti di voi sanno, ci sono molti dialetti, molto diversi fra loro e che arrivano dal latino. Ci sono anche alcune lingue indipendenti come il sardo e altri dialetti che non arrivano dal latino. Ma com’era la situazione dell’Italia prima? Qual era la situazione ad esempio nel 1000 dopo Cristo oppure ai tempi di Dante? Oggi voglio percorrere brevemente con voi la storia della lingua italiana e mostrarvi come siamo arrivati alla lingua di oggi che chiamiamo italiano standard.
Molti anni fa l’Europa era una confusione di innumerevoli dialetti, c’erano molte lingue diverse che derivavano dal latino. Poco a poco durante i secoli questi dialetti si sono trasformati in alcune lingue diverse, distinte come ad esempio il francese, il portoghese, lo spagnolo e l’italiano. Quello che però è successo in Francia o in Spagna o in Portogallo è un evoluzione che possiamo definire organica: cioè il dialetto della città più importante si è trasformato a poco a poco nella lingua ufficiale di tutta la regione. In Italia questo processo è stato un po’ differente. Una differenza importante è che per molto tempo l’Italia non è stata un paese unito. L’Italia, infatti, è stata unificata solo molto tardi, nel 1861. Fino a quel momento era una penisola di città stato in guerra fra loro e dominate da prìncipi a volte orgogliosi oppure da altre potenze europee.
Parte dell’Italia apparteneva alla Francia, parte alla Spagna, una parte alla Chiesa e alla fine una parte a chi riusciva a conquistare la fortezza, il castello o il palazzo locale. I poteri cambiavano veramente, non era un regno stabile.
Tutta questa divisione interna presente in Italia significa quindi che il nostro paese è stato unificato poco a poco e la stessa cosa è successa con la lingua italiana. Il latino, in particolare, era la lingua della cultura e della letteratura mentre il “volgare”, così chiamato, quindi la lingua del popolo (dalla parola “volgo”), era usata in contesti pratici di vita quotidiana (come i registri o ad esempio le ricevute commerciali).
Proprio per questi motivi, per queste divisioni interne, non dobbiamo stupirci se durante i secoli gli italiani abbiano parlato e scritto con dialetti locali incomprensibili da chi era di un’altra regione. In questo modo, se vogliamo fare un esempio, persone che vivevano in Piemonte, come me, non potevano capire persone che per esempio provenivano da altre regioni come il Veneto o in particolar modo, le regioni del Sud.
Il latino a quel tempo era la lingua d’uso internazionale, cioè era usato nelle scritture e nei discorsi ufficiali. Questo latino era definito da Dante come “grammatica”: quindi Dante pensa a quel tempo che la lingua convenzionale e la lingua perfetta, anche se artificiale, era appunto il latino. Tuttavia, c’era un dibattito aperto: il dibattito sul volgare d’Italia, questa “lingua volgare” e quindi il dibattito anche che si chiedeva quale dovesse essere la lingua ufficiale, il volgare “illustre”. Quindi tutti questi scrittori nel 1200/1300 già pensavano all’idea di una lingua ufficiale, una lingua per tutta Italia. Una lingua che ancora però non esisteva. Anche se c’è stato, c’era l’opera della Scuola Poetica Siciliana, così chiamata, che aveva in qualche modo pubblicato letteratura in volgare e quindi aveva iniziato il processo per far diventare questo volgare adeguato anche all’uso scritto. Quindi per sostituire piano piano in latino.
Dobbiamo parlare un po’ di Dante, ma state tranquilli perché cerco di essere breve.
Dante è considerato da molti il padre della lingua italiana. Perché? Quando lui pubblica la sua Divina Commedia nel 1321, Dante sciocca un po’ il mondo letterario. Perché?
La prima grande opera della normazione del volgare, cioè che tenta, che cerca di costruire delle regole per questa nuova lingua è appunto l’opera di Dante che teorizza nei primi anni del 1300 in un’opera che si chiama il De Vulgari Eloquentia. Lui teorizza la creazione di questa nuova lingua: lui quindi riconosce la varietà delle lingue d’Italia e compie, inizia a svolgere, un’opera di limatura quindi un’opera per creare questa lingua: per far diventare questa lingua lo strumento migliore per comunicare. Quindi Dante, in questo periodo, non accetta il latino come lingua per le sue opere, ma va per le strade e cerca la vera lingua fiorentina: vera lingua parlata dagli abitanti della città. La stessa cosa viene poi fatta da due poeti e scrittori importanti che vivono leggermente dopo Dante, quindi sono quasi contemporanei, e sono Boccaccio e Petrarca. Dante, Petrarca e Boccaccio, chiamati Le Tre Corone, iniziano un lavoro di creazione, insomma, un lavoro di elaborazione di questa nuova lingua. A causa loro, grazie a loro, il fiorentino inizia a diventare un modello di riferimento per tutta Italia.
Dante usa questa lingua, chiamata volgare, per raccontare la sua storia: quella anche della Divina Commedia.
Dopo di lui, questa causa viene un attimo dimenticata fino al 1500. Nel 1500 alcuni intellettuali italiani iniziano a organizzarsi e decidono che questa mancanza di una lingua ufficiale e questa predominanza ancora del latino per la letteratura sia una cosa assurda. Secondo questi intellettuali, l’Italia ha bisogno di una lingua italiana, almeno in forma scritta che fosse però comune a tutti. Quindi questo gruppo di intellettuali fa una cosa inedita nella storia d’Europa: sceglie un dialetto, quello ritenuto da loro come più bello, e lo battezza italiano.
Come trovare questo dialetto più bello? Come definire la bellezza? Questi intellettuali devono appunto andare indietro di 200 anni, fino alla Firenze del quattordicesimo secolo. Questo gruppo decide di considerare lingua italiana corretta la lingua usata dal grande poeta Fiorentino Dante Alighieri nel 1300 e da altri due autori quasi contemporanei, appunto, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio.
Ora immaginate questa scena: un gruppo di intellettuali si riunisce molto tempo dopo rispetto all’epoca di Dante e decide che l’italiano di Dante sarebbe, a partire da quel momento, la lingua ufficiale dell’Italia. È più o meno come se un gruppo di accademici di Oxford si fosse riunito un giorno nel secolo XIX e avesse deciso che, da quel momento, tutto il mondo in Inghilterra avrebbe dovuto parlare la lingua di Shakespeare. Questa manovra, questa mossa, in Italia funziona veramente.
L’italiano che parliamo oggi, quindi, non è romano o veneziano (anche se queste città sono state città molto forti dal punto di vista militare e commerciale) ma è Fiorentino, la lingua di Firenze. La lingua ha la sua origine da quella stessa lingua che Dante usa nelle sue opere.
Oggi per un italiano non è così facile leggere Dante: a scuola infatti dovevamo tradurre e parafrasare la Divina Commedia prima di capire il contenuto interamente. Molte parole però sono comuni e in molte parti del libro è ancora possibile per un italiano capire il contenuto. Ovviamente, la lingua è cambiata nel corso dei secoli, ogni lingua cambia.
Come esperimento, per farvi sentire questa lingua del 1300, voglio leggere qui, adesso, le prime due strofe della Divina Commedia del Canto I dell’Inferno. Voi ascoltate il suono e provate a vedere se riuscite a capire qualche parola. Non importa se non riuscite a capire bene il contenuto, provate solo a concentrarvi sul suono. Ok? Andiamo:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Bene, ora possiamo tornare alla nostra storia. Abbiamo capito che la lingua italiana ha una forte connessione con la lingua di Dante. Ma la storia non finisce certo qui. In quale modo questa lingua è diventata lingua nazionale? E quanto è diverso l’italiano contemporaneo dall’italiano di Dante?
Dobbiamo parlare e fermarci un po’ sul 1500. Dante, Boccaccio e Petrarca nel 1300 sono sicuramente stati i padri della rivoluzione linguistica. Dopo di loro, però, gli scrittori sono tornati al latino. Per un secolo la lingua è addormentata e solo alla fine del 1500 ricominciano gli studi che parlano di una lingua nazionale. Proprio nel 1500, quindi, la questione linguistica diventa uno studio fondamentale.
Però non è semplice: ci sono varie teorie. Ci sono persone che sostengono l’importanza di tornare al Fiorentino del 1300 e altri che invece vogliono una lingua più moderna. Fra questi, un intellettuale nel 1500 che parla della lingua italiana e in particolare della lingua parlata fiorentina è Niccolò Machiavelli. Lui scrive un libro chiamato: “Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua”. Machiavelli apparteneva al gruppo che sosteneva il “modello Fiorentino”, la lingua di Firenze. Machiavelli però difendeva il fiorentino contemporaneo e non quello di Dante. Un altro gruppo, invece, è guidato da Pietro Bembo: un altro intellettuale del tempo che scrive un libro chiamato “Prose della volgar lingua”. Lui in questo scritto propone come lingua il toscano del 1300: secondo lui la lingua letteraria per eccellenza, quindi la lingua letteraria pura.
Bembo scrive una vera e propria Grammatica del Toscano letterario: questa grammatica però si basa appunto sulla lingua parlata dai grandi autori del Trecento: Dante, ma soprattutto Boccaccio e Petrarca. Dante un po’ meno: perché? Perché Dante nella sua opera non usa solo l’italiano alto, l’italiano elevato ma usa anche molti termini appartenenti al linguaggio un po’ più basso, un po’ più volgare. Quindi Bembo decide di basarsi soprattutto sulle opere di Boccaccio e Petrarca.
Un’altra cosa importante che succede nel 1500 è la nascita dell’Accademia della Crusca: un organo accademico che si occupa di linguistica e nasce nel 1582. L’accademia della Crusca, quindi questo organo di linguisti crea per la prima volta un dizionario italiano e decide per la creazione di questo dizionario di basarsi sul l’idea appunto di Bembo, quindi sulla lingua dei letterati del 1300. Questo dizionario è stampato nel 1612 a Venezia. Fra gli scrittori del Cinquecento compaiono nel dizionario solo gli scrittori che hanno deciso di seguire appunto il modello di Bembo, come Ariosto, lo stesso Bembo, Della Casa e altri autori.
Un altro personaggio che vive fra 1500 e 1600 e che possiamo nominare è Galileo Galilei. Perché? Perché Galileo Galilei nei suoi scritti va verso la direzione della sua lingua materna: lui usa il volgare contemporaneo, la sua lingua, la lingua parlata di tutti i giorni. Quindi è importante perché Galileo, come scienziato, crea italiano della fisica e dell’astronomia. Sceglie di usare parole facili, semplici e trasparenti e non introduce nei suoi scritti parole troppo colte, troppo “strane” per una persona che viveva in quel periodo storico. Infatti, la lingua che il popolo parlava nel 1700 era molto diversa da quella che parlava Dante. C’era una grande differenza tra la scrittura, questo dizionario dell’Accademia della Crusca e invece la lingua della vita quotidiana, la lingua delle cose di tutti i giorni. Questa lingua di Bembo questa lingua dell’Accademia della Crusca era un po’ arcaica, era considerata un po’ antica.
Bene amici, questa storia sta diventando molto lunga, quindi per questa settimana mi fermo qui. Ricordatevi: siamo arrivati al 1500/1600. La settimana prossima dovremmo parlare ancora di un periodo importantissimo per la storia della lingua italiana che è il 1800. Ma per adesso vi lascio, vi ringrazio per aver ascoltato fino adesso e voglio anche, prima di finire, chiedervi alcuni suggerimenti.
Questi sono i miei primi podcast, sto sperimentando con questa nuova forma di comunicazione: quindi mi scuso per volume, alti, bassi eccetera eccetera. Spero che abbiate pazienza ma se avete particolari consigli per me, se volete che durante questo spazio settimanale io parli di argomenti particolari, vi prego di mandarmi un’email. Potete trovare il mio indirizzo e-mail sul mio sito web: sarò felice di leggere e rispondere a qualsiasi messaggio che riceverò.
Terminiamo infine con il proverbio di questa settimana. Ho scelto un proverbio con la rima: adoro proverbi con le rime. Il proverbio è questo: rosso di sera bel tempo si spera. Significa che se di sera il tramonto è bello rosso, senza nuvole, probabilmente domani sarà una bella giornata. Queste erano le credenze dei nostri nonni e forse funzionano ancora oggi! Quindi vi auguro una bellissima giornata, vi auguro un bellissimo weekend autunnale e ci sentiamo presto. Ciao ciao.