36_Cultura

 

Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri.

(Antonio Gramsci)

Sentiamo spesso la parola cultura. La cultura italiana, la cultura di un popolo, una persona con cultura, un evento culturale. Ma che cosa significa la parola cultura? Significa semplicemente leggere molti libri? Oppure è qualcos’altro, qualcosa di più profondo? Oggi voglio un po’ parlare di questo. Mentre preparavo l’episodio di oggi, ho cercato e letto vari articoli. Bene, ho scoperto che ci sono pagine e pagine, molti articoli e video che parlano di questa piccola, ma importante parola: “cultura”.

Non faccio un trattato di filosofia o sociologia, ma cerco di semplificare due idee che voglio condividere con te…

 

35_Mille

Iniziamo a mille! Il numero “mille” fa da filo conduttore per questo primo episodio, in cui parliamo di due fatti storici importanti e di un dolce. Buon ascolto!

Il primo episodio si chiama Mille. Perché? Bhe, prima di tutto perché spero di arrivare a mille episodi un giorno, è sempre meglio sognare in grande no?

Poi perché questo numero può essere un filo conduttore per parlare di alcuni eventi importanti e mi sembra interessante iniziare la nuova stagione con questo argomento.

La lingua italiana ha mille anni, è millenaria. Veramente ha più di mille anni, più o meno 1059 anni. Più o meno dico, e adesso vi spiego perché.

30_U come Unicorno

Unicorni, draghi, basilischi, fenici… La letteratura è piena di animali immaginari. Gli animali immaginari esistono fin dall’antichità e sono una cosa molto antica nella storia umana. A volte la fantasia serve a proteggerci dalla realtà e dalla paura e quando l’uomo non sa qualcosa, usa la fantasia. Oggi facciamo insieme un viaggio nel mondo degli animali immaginari!

Trascrizione

La letteratura è piena di animali immaginari. Gli animali immaginari esistono fin dall’antichità e sono una cosa molto antica nella storia umana. Gli dei Egizi spesso erano una fusione fra un corpo umano e un animale, anche i romani usavano gli animali come simboli. Ancora oggi abbiamo i nostri animali preferiti, gli animali guida e i simboli. Pensiamo all’unicorno che ultimamente va di moda. Esistono oggi nel mercato calzini con gli unicorni e mutande e cappelli e chi più ne ha più ne metta! Io particolarmente amo gli accessori con tartarughe e balene. Tu hai qualche oggetto con gli unicorni? O con altri animali?

Nel podcast di oggi facciamo un viaggio alla scoperta di alcuni animali immaginari che sono presenti nella cultura e nella letteratura.

Durante la storia dell’umanità, l’uomo inventa numerosi animali. Spesso sono creature che sono un mix fra animali reali e caratteristiche immaginarie. A volte sono due animali mescolati insieme. Altre volte l’uomo è unito a corpi d’animali (pensiamo ad esempio al Minotauro che è un incrocio fra un uomo e un toro o a una sirena che è un incrocio fra una donna e un pesce). Pensate che alcune persone credono di aver visto questi animali nel mondo reale e leggiamo sempre sui giornali casi di persone che pensano di aver visto un lupo mannaro o un mostro di Loch Ness. 

A volte la fantasia serve a proteggerci dalla realtà e dalla paura e quando l’uomo non sa qualcosa, usa la fantasia. 

La storia di oggi inizia nel Medioevo

Il Medioevo è un periodo della storia d’Europa che va più o meno dal V secolo dopo Cristo al XV. Pensate, molti molti anni della nostra storia. Il Medioevo È il periodo storico che sta fra l’epoca classica e il Rinascimento. 

Bene, in questo periodo gli animali sono molto importanti e molto presenti. Gli animali nel medioevo sono simboli. E la cosa interessante è che nel Medioevo non si distingue fra animali reali e animali immaginari. Negli affreschi o nelle decorazioni delle chiese nel Medioevo possiamo trovare animali reali insieme ad animali che non esistono. Per l’uomo Medievale questo non è importante. Per lui quello che è reale non è necessariamente vero. Realtà e fantasia si uniscono. 

Nel Medioevo c’erano alcuni libri particolari chiamati Bestiari. Questi libri raccoglievano la descrizione di moltissimi animali, sia reali, sia fantastici. Di solito, le descrizioni degli animali erano accompagnate da insegnamenti morali e frasi dalla Bibbia. Questi libri avevano il compito di insegnare a essere buoni cristiani. 

Ogni animale aveva caratteristiche fisiche e di comportamento e veniva usato per rappresentare una qualità particolare. Pensiamo al leone. Nel Medioevo, le persone pensano che il leone dorma con gli occhi aperti. Per questo motivo, il leone è usato in questo periodo spesso come simbolo di vigilanza. Vigilanza significa “stare attenti”, osservare e proteggere. Per questo motivo oggi possiamo vedere statue di leoni alle porte delle chiese o dei luoghi sacri. Il leone rappresenta in alcune occasioni anche Dio o il Cristo. Il maiale, invece, è un animale opposto che mangia nello sporco, per terra e per gli uomini del Medioevo il maiale è considerato simbolo dell’uomo peccatore, che pensa ai piaceri della terra e dimentica Dio. 

Questi libri, i bestiari, hanno grande successo fino al XIV secolo e poi lasciano piano piano spazio alla scienza. Prima le esplorazioni geografiche e poi la ricerca scientifica portano l’uomo a rappresentare gli animali e la natura in modo più realistico. Si sviluppano biologia, zoologia e medicina.

Questo però non vuol dire che gli animali fantastici sono scomparsi, anzi.

Gli animali immaginari sono presenti nella letteratura, nella scultura, nel cinema, nei nostri disegni da bambini e nei nostri sogni o incubi. 

Vi faccio alcuni esempi. Cercate su internet un quadro di Raffaello che si chiama “la dama col liocorno”. Troverete una donna elegante con lo sguardo misterioso e in braccio un piccolo di unicorno. Nel 1600 è comune trovare l’unicorno vicino a una giovane donna. Perché? L’unicorno è il simbolo della purezza e della castità e per questo è spesso rappresentato vicino a donne vergini. 

Dama col Liocorno, Raffaello

La letteratura è piena zeppa – piena zeppa significa “pienissima – di riferimenti ad animali immaginari. Partendo dai libri antichi, c’è un libro di Plinio il Vecchio, uno scrittore latino, che si chiama “Storia naturale”, poi possiamo pensare al “Beowulf”, un antichissimo poema epico scritto in inglese arcaico. Poi l’Orlando Furioso, un bellissimo poema italiano del 1500 scritto da Ludovico Ariosto. Anche qui troviamo animali immaginari, ma vi parlo di questo più avanti nell’episodio. La Divina Commedia, come non parlare della nostra amata Divina Commedia, con i suoi mostri e gli esseri fantastici. Se poi andiamo avanti nel tempo possiamo pensare ad un autore argentino, Borges che ha scritto il “Manuale di Zoologia Fantastica”. Ancora più contemporaneo e più popolare, pensiamo a Harry Potter e a tutti i libri magici scritti da J.K. Rowling

Parlando di film: tutti conosciamo La storia Infinita del 1984. E poi Dragon Heart oppure il cartone Hercules della Disney. Poi animazioni, Dragon Trainer e altri.

Oggi, parlo un paio di animali immaginari. State tranquilli, non mi dilungherò troppo, non sarò troppo lunga. Ma penso che siano cose interessanti. 

Il primo animale è lui: l’unicorno!

Questo animale è di solito bianco, con gli occhi blu, il corpo di un cavallo, un corno a spirale sulla fronte. Era anche rappresentato in passato con la coda di un leone e la barbetta di capra. Anche se oggi questi elementi non ci sono sempre. Ha poteri magici, in particolare il suo corno protegge da tutti i veleni. 

ca. 1602 — The Maiden and the Unicorn by Domenichino — Image by © Alinari Archives/CORBIS

La prima persona che descrive un unicorno è un medico che si chiama Ctesia e vive in Grecia 2500 anni fa. L’unicorno, senza corno, non può vivere o almeno così dice la leggenda. Tanto tempo fa esistevano veri e propri cacciatori di unicorni, persone che davano la caccia a questo animale per prendere il suo corno magico. Dal corno, infatti, era possibile creare delle coppe da cui bere senza aver paura di essere avvelenati. Nessuno ha mai catturato un unicorno. Ma alcuni ciarlatani del Medioevo vendevano altri tipi di corni fingendo di vendere un corno vero di unicorno. La parola “ciarlatano” che ho usato poco fa significa persona disonesta, di solito è una persona che con le bugie vuole avere un vantaggio economico. È una parola simpatica: ciarlatano.

L’unicorno era anche chiamato Leocorno o Alicorno o Liocorno. Anche Leonardo da Vinci parla di lui e lo disegna. Oggi, una contrada del famoso Palio di Siena si chiama Leocorno ed ha come simbolo questo animale. Il Palio di Siena è una competizione storica di origine medievale dove i quartieri di Siena (le contrade appunto) si sfidano in una corsa con i cavalli. 

Un animale un po’ più pericoloso è il basilisco.

Il basilisco, chiamato anche “re dei serpenti” è appunto un serpente con la testa di gallo. È un animale mortale che può uccidere con un solo sguardo o con il suo potentissimo veleno. Plinio il Vecchio, il poeta latino, scrittore e filosofo latino del I secolo dopo Cristo, dice che il basilisco è molto piccolo, ha una lunghezza di circa 20 centimetri. 

Rappresentazione del basilisco (1510)

Il basilisco può uccidere con un morso oppure può pietrificare con lo sguardo. Come nasce? Questo è interessante. Nasce da un uovo di gallo vecchio, quindi un gallo vecchio, sentite, un uovo di gallo vecchio covato per circa nove anni da un serpente o un rospo. Covare un uovo significa tenerlo al caldo, come fanno le galline. L’uovo del basilisco è covato da un serpente o un rospo. 

Se avete letto i libri o visto i film di Harry Potter, potete ricordare che nel secondo capitolo della saga, il mago affronta proprio un enorme basilisco. 

E se siete fan di Harry Potter come me, ricorderete anche un altro animale mitologico che compare nel film: l’ippogrifo. Se non seguite Harry Potter, tranquilli, vi perdono.

Adesso vi spiego io che cos’è l’ippogrifo

Questo è un animale che è metà cavallo e metà grifone. Il grifone è anche lui un animale leggendario, un misto fra un’aquila e un leone. L’ippogrifo ha le ali, il corpo da cavallo, il petto da leone e la testa d’ aquila. Ha grossi artigli, ma non è cattivo. Mangia insetti e piccoli mammiferi. 

Probabilmente si parlava da prima di questo animale, ma il primo a parlare e scrivere dell’ippogrifo è stato Ludovico Ariosto, uno scrittore italiano del 1500. Nel suo Orlando Furioso parla di questo animale e lo descrive. Dopo Ariosto, la letteratura si è riempita di ippogrifi e questo animale è entrato nella conoscenza comune. 

Poi abbiamo il drago. Beh, il drago è forse l’animale mitologico fra tutti più presente nelle nostre storie e nei film. Il drago è una specie di grande lucertolone, di grande serpente con zampe e ali che può volare molto in alto e possiede una forza straordinaria. A volte è simbolo del male, spesso nella nostra cultura occidentale è così, però nella cultura orientale rappresenta spesso la protezione ed è un simbolo positivo. Può nuotare e spesso sputa il fuoco.

Nella cultura greca il drago è già presente e sia greci che romani usavano la parola “drago” per descrivere piccoli rettili, di solito non pericolosi. La letteratura religiosa ha molti draghi. E sono famose le lotte fra i draghi e i santi: pensiamo ad esempio a San Giorgio, che nella leggenda combatte contro un drago. 

Paolo Uccello, San Giorgio e il Drago, 1460 circa

Anche un conte italiano ha combattuto contro un drago. Siamo in Italia, precisamente in Toscana nel 1488. Un drago terrorizza le persone del paese e il conte Guido Sforza decide di intervenire. Entra nella foresta e combatte contro il mostro. Torna nel suo castello con il teschio dell’animale. Il teschio sono le ossa della testa. Il teschio, questo teschio è ancora presente in questo piccolo paesino in Toscana. Tutti negli anni hanno sempre pensato che fosse una testa di drago, quando Nel 1900 un esperto di coccodrilli americano analizza le ossa e dice che sono ossa di un coccodrillo del Nilo. Bene, un coccodrillo del Nilo. Che cosa ci facevano le ossa di un coccodrillo del Nilo in Toscana nel 1500? A questa domanda non abbiamo ancora una risposta!

Bene, il nostro viaggio nell’immaginario oggi finisce qui. Spero che sia stato interessante incontrare questi esseri fantastici. Esistono centinaia di animali fantastici e ogni regione, ogni paese e ogni città ha i propri.

Questa è la mia lista, ma sono sicura che ci sono molti altri animali interessantissimi.

Per favore, se conosci animali immaginari tipici del tuo paese scrivimi! Oppure vai su Instagram, pubblica una foto e taggami. Il mio nome su Instagram è @italianwithlinda. 

Anche per questa settimana è stato un piacere, a presto e buona settimana

 

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29_T come Tiramisù

Tutti conoscono il Tiramisù. Il dolce italiano cremoso fatto con savoiardi, mascarpone e caffè. Ma conoscete la storia di questo favoloso dolce? Sapete che questo dolce è stato conteso per anni? Scopriamo oggi insieme la storia del Tiramisù!

Trascrizione

Lo sappiamo tutti, l’Italia è la terra della cucina, del gelato, del gusto. Sono molte le ricette tipiche e ogni piccolo paesino ha qualcosa di gustoso da offrire. Molte parole italiane legate al cibo sono entrate nei vocabolari italiani e sono conosciute in tutto il mondo: pasta, pizza, cappuccino, gelato. Ma se vi chiedo di pensare a un dolce, a cosa pensate?

Immaginate, siete in un ristorante, avete appena mangiato un bel risotto alla zucca e gorgonzola, avete bevuto un buon bicchiere – o due – di vino. La pancia è piena, l’umore è alto. Si avvicina il cameriere e vi chiede: un dolce?

Che cosa rispondete? 

Io so che cosa risponderei, senza pensarci un secondo: Tiramisù!

Eh sì, il tiramisù è il dolce italiano per eccellenza, gustoso, ricco e insostituibile. 

Ma il Tiramisù è un dolce abbastanza recente, non ha una storia molto antica. Non compare nei ricettari antichi, almeno non con questo nome e con questi ingredienti. Non c’è il Tiramisù nel ricettario di Artusi. E la sua storia è stata per anni un mistero. La creazione del Tiramisù è stata contesa – combattuta –  fra molte regioni: Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Piemonte. 

Nel 2016 è uscito un libro, scritto da Clara e Gigi Padovani che ha raccontato finalmente la storia del Tiramisù. I due giornalisti hanno iniziato un viaggio in Italia per cercare la ricetta originale e il luogo di nascita di questo famoso dolce amato e gustato in tutto il mondo. 

Oggi parliamo di Tiramisù.

Trascrizione completa presto disponibile, puoi intanto studiare con le trascrizioni degli ultimi episodi, qui

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28_S come Scrittura – Jhumpa Lahiri

Oggi racconto la storia di Jhumpa Lahiri, una scrittrice che si è innamorata della lingua italiana e ha deciso di adottarla. Oggi parliamo di “In altre parole”, un viaggio nella lingua italiana. Il viaggio nella lingua italiana è fatto di passione, scoperta, ricerca, ma anche imperfezione e frustrazione. Un libro consigliatissimo a tutti quelli che stanno studiando l’italiano.

Trascrizione

La scrittura è uno strumento terapeutico. Uno strumento che ci aiuta a indagare noi stessi, a entrare in profondità, e a osservare le cose del mondo.  La scrittura è un mezzo per l’arte. Molti scrittori scrivono soprattutto per se stessi, per analizzare i propri sentimenti, per sfogarsi, per affrontare demoni e paure.  Di solito la scrittura è nella nostra lingua madre. La nostra lingua madre infatti ci rappresenta. Le nostre parole ci rappresentano. La nostra lingua madre è la nostra identità. 

Ho finito di leggere da poco un libro scritto da una scrittrice che non è nata in Italia. Una scrittrice che ha deciso di usare l’Italiano come lingua della scrittura e del quotidiano,  anche se l’italiano non è la sua lingua. Questa donna ha deciso di mettersi alla prova, di abbandonare la sua lingua madre e iniziare un viaggio in un mondo fatto di parole straniere.

 Lei si chiama Jhumpa Lahiri, il suo libro è In altre parole.

Jhumpa nasce a Londra da genitori Bengalesi e cresce negli Stati Uniti, a Rhode Island. Si dedica alla scrittura fin da giovane e nel 2000 vince il premio Pulitzer con il romanzo “L’interprete dei malanni” – questo il titolo in Italiano. Pubblica vari libri di successo e scrive per il New Yorker. 

Il suo contatto con l’Italiano inizia dopo l’università, quando fa un viaggio a Firenze e si innamora del nostro paese, ma soprattutto della nostra lingua. L’Italiano le sembra da subito qualcosa di familiare. La stessa Lahiri scrive: 

“L’italiano sembra già dentro di me e, al tempo stesso, del tutto esterno. Non sembra una lingua straniera, benché io sappia che lo è. Sembra, per quanto possa apparire strano, familiare. Riconosco qualche cosa, nonostante non capisca quasi  nulla”.

Dopo questo primo viaggio in Italia, torna a New York e continua con la sua vita. Ma non dimentica l’Italiano. Continua a studiarlo, con tenacia e insistenza. Nel 2012 una scelta drastica: Jhumpa Lahiri decide di trasferirsi con la famiglia in Italia. Così lascia tutto e si trasferisce a Roma con il marito e i figli. Ben presto capisce che questo non basta, il suo viaggio non finisce qui. Inizia a dedicarsi con ossessione allo studio dell’italiano, si avvicina a questa lingua che era straniera per lei. E fa una cosa più grande: inizia a scrivere in Italiano

In altre parole

In altre parole, il libro che vi consiglio oggi, è un libro scritto da Jhumpa in italiano. 

 In questo libro Jhumpa racconta del suo amore per la lingua italiana e del suo viaggio coraggioso in un altro mondo.  Un amore che diventa quasi un ossessione quando lei decide di lasciare tutto quello che ha negli Stati Uniti e di trasferirsi con la sua famiglia in Italia.  Dovete pensare che al momento del trasferimento in Italia lei era una scrittrice famosa è affermata negli Stati Uniti, aveva appena vinto un premio molto importante, un premio Pulitzer.  I suoi libri vendevano e lei era una scrittrice di successo.

Perché allora lasciare tutto e decidere di trasferirsi in un altro paese, con un’altra lingua, un’altra cultura e altre abitudini.  E soprattutto, perché iniziare a scrivere in una lingua che non è la nostra? In una lingua che non ci appartiene?

Per lei, questo è un esperimento, è la ricerca di un altro punto di vista. Cerca “altre parole” per descrivere la realtà fuori e la sua realtà interiore. 

Il libro è molto molto interessante perché parla di questo viaggio  e racconta in un modo molto profondo e semplice le difficoltà e le frustrazioni che tutti proviamo quando vogliamo esprimerci  con una lingua che non è la nostra. Il libro racconta degli ostacoli e dei dubbi. Racconta della solitudine e del senso di inadeguatezza.  Con capitoli brevi Jhumpa racconta il suo trasferimento a Roma, il suo amore per la lingua, i primi racconti in italiano e le prime interviste in italiano. Racconta di questo rapporto d’amore con questo amante – la lingua italiana appunto – che la attrae ma poi la respinge. Racconta anche del suo incontro con i grandi autori del passato, i grandi della letteratura italiana che lei incontra nel suo studio solitario. 

Il viaggio nell’italiano si intreccia con un viaggio nel passato, nella sua vita.  Parla della sua infanzia da bambina nata da genitori bengalesi a Londra e poi cresciuta negli Stati Uniti.  Parla del rapporto con le lingue della sua vita: il bengalese e l’inglese. Tutte e due forti ma nessuna completamente la sua lingua madre. Ed è qui che entra l’italiano.  La lingua italiana per Jhumpa, oltre a essere un grande amore, è anche una via di fuga. Un modo per una scrittrice esperta e una donna profonda di liberarsi dalle aspettative,  dalle abitudini e dalle maschere che portiamo ogni giorno. Questo viaggio in Italia e nella lingua italiana e anche un viaggio nell’identità.

 Chi sono io?  Qual è il mio passato? Che cosa sto cercando?  Tutte queste domande sono una ricerca continua per tutti noi.

Il libro mi è piaciuto molto perché Jhumpa è una scrittrice molto profonda che sa analizzare con parole perfette il mondo intorno a sé e il mondo dentro di sé.  

 I capitoli sono brevi, la difficoltà del testo aumenta piano piano e le parole sono ricercate. Penso che questo libro sia adatto a tutte le persone che stanno studiando una lingua straniera. 

Non voglio parlare troppo oggi, ma voglio leggervi un piccolo pezzo del libro. 

Andiamo:

“Per colpa della mia identità divisa, per colpa, forse, del mio carattere, mi considero una persona incompiuta, in qualche modo manchevole. Può darsi che ci sia una causa linguistica: la mancanza di una lingua con cui possa identificarmi. Da ragazzina, in America, provavo a parlare il bengalese alla perfezione, senza alcun accento straniero, per accontentare i miei genitori, soprattutto per sentirmi completamente figlia loro. Ma non era possibile. D’altro canto volevo essere considerata un’americana, ma nonostante parlassi quella lingua perfettamente, non era possibile neanche quello. Ero sospesa anziché radicata. Avevo due lati, entrambi imprecisi. L’ansia che provavo, e talvolta provo ancora, proviene da un senso di inadeguatezza, di essere una delusione.

Qui in Italia, dove mi trovo benissimo, mi sento imperfetta più che mai. Ogni giorno, mentre parlo, mentre scrivo in italiano, mi scontro con l’imperfezione. Questa linea sinuosa lascia una traccia, mi accompagna ovunque. Mi tradisce, rivela che non sono radicata in questa lingua.

Perché mi interessa, da adulta, da scrittrice, questa nuova relazione con l’imperfezione? Cosa mi offre? Direi una chiarezza sbalorditiva, una consapevolezza più profonda di me stessa. L’imperfezione dà lo spunto all’invenzione, all’immaginazione, alla creatività. Stimola. Più mi sento imperfetta, più mi sento viva.

Scrivo fin da piccola per dimenticare le mie imperfezioni, per nascondermi sullo sfondo della vita. In un certo senso la scrittura è un omaggio prolungato all’imperfezione. Un libro, così come una persona, rimane qualcosa di imperfetto, di incompiuto, durante tutta la sua creazione. Alla fine della gestazione la persona nasce, poi cresce. Ma ritengo che un libro sia vivo solo mentre viene scritto. Dopo, almeno per me, muore.”

(da “In altre parole” di Jhumpa Lahiri)

Bene, vi lascio questo invito oggi: cercate quest’autrice, ascoltate le interviste, leggete il suo libro. Le sue parole sono un messaggio per tutte le persone che provano a esprimersi con una lingua che non è la loro lingua madre.

Per oggi è tutto,

A presto

Fonti e risorse utili:

The Italian Book Club

Hai letto questo libro e vuoi parlarne con persone che studiano l’italiano? Unisciti al Book Club di Speak Italiano! Un incontro mensile per parlare di libri, cultura e lingua italiana.

Trovi tutte le informazioni qui.

27_S come Sport

Ripercorriamo oggi insieme la storia del Giro d’Italia. Parliamo di sport e di un momento importante della storia sportiva italiana. Ci sono molti aneddoti legati al Giro d’Italia e oggi voglio raccontarne alcuni! Buon ascolto.

Trascrizione completa presto disponibile, puoi intanto studiare con le trascrizioni degli ultimi episodi, qui

Fonti e link utili:

24_P come Petaloso

Come nasce una parola? Quando una parola è inserita nel dizionario?
Non ci pensiamo molto, ma la lingua cambia, evolve. Nuove parole entrano nel dizionario e altre parole muoiono. La lingua è un essere in evoluzione.
Grazie alla storia del piccolo Matteo e della parola “petaloso” scopriamo oggi come far entrare una parola nel dizionario.

 

Matteo, 8 anni, alunno delle classe terza delle scuole elementari ‘Marchesi di Copparo’ inventore del neologismo ‘petaloso’, con la maestra Margherita Aurora in una foto diffusa dalla ‘Nuova Ferrara’, 24 Febbraio 2016. ANSA/ ROSSETTI

Trascrizione completa presto disponibile

22_N come Nave

Navi. Si parla molto di navi oggi: nei giornali, in televisione. Io voglio parlare di quelle navi che non molti anni fa hanno trasportato molti italiani in Argentina, Brasile, Stati Uniti. Nella puntata di oggi racconto un po’ le grandi migrazioni italiane del 1900.

Canzone nell’episodio: Terra Straniera, Luciano Taioli

Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire…

Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte… magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l’America.

Alessandro Baricco, Novecento

Una nave avvistata al largo della Sicilia, nave con migranti al largo di Malta. Navi, sentiamo molto parlare di navi ultimamente. E l’Italia, a causa anche della sua posizione strategica nel mediterraneo, è la meta per molti migranti.

La citazione che ho letto all’inizio, però, parla di un’altra nave. Una nave grandissima, che faceva un viaggio più lungo. La citazione che vi ho letto arriva da un libro di Alessandro Baricco che si chiama Novecento. Da questo libro è nato un film di un regista fantastico, Giuseppe Tornatore. La storia racconta di un pianista straordinario, di un ragazzo che nasce e cresce in una di quelle navi che trasportavano i migranti da Europa ad America.

Dal 1861, l’anno dell’Unità d’Italia, sappiamo che circa 30 milioni di Italiani hanno cercato la fortuna all’estero. 30 milioni di persone sono tanti e probabilmente fra di voi ci sono persone che hanno origini italiane. Molti italiani che sono partiti poi sono ritornati in Italia negli anni o decenni successivi. La maggior parte però è rimasta nei paesi stranieri e ha ricominciato una nuova vita lontano dall’Italia.

Ancora oggi, ci sono grandi comunità di discendenti Italiani negli Stati Uniti, in Brasile, in Argentina, in Francia e in Germania. Gli Italiani sono un popolo di migranti.

Oggi voglio parlare un po’ di queste migrazioni.

(trascrizione completa presto disponibile)

Fonti e collegamenti utili:

20_L come Leonardo


Trascrizione

Per affrontare la lettera L, ho deciso di parlare di una persona simbolo del Rinascimento. Fu un uomo eclettico, creativo, curioso e dotato di grandissime capacità. Era ingegnere, filosofo, ma è famoso soprattutto per le sue doti artistiche. Nasce nel 1452 a Firenze, ma viaggia molto e vive per molti anni a Milano. Il mondo intero lo chiama “genio”.

Avete capito?

Questo è il profilo del grande Leonardo Da Vinci. Voglio dedicare l’episodio di oggi a lui. Ripercorreremo la sua storia, parleremo della sua infanzia e proveremo a conoscere meglio il genio del Rinascimento.

L’opera di Leonardo da Vinci unisce arte, geometria, filosofia e scienza. Per molti è prevalentemente un artista, autore di dipinti famosissimi nella storia dell’arte. Dipinti meravigliosi e rivoluzionari. Ma Leonardo non è stato solo questo.

Progettista, ingegnere, scienziato, ricercatore: la sua ricerca spazia in molti campi del sapere umano. È un uomo dotato di straordinario talento. I suoi studi erano avanti rispetto al periodo e le sue ricerche molto visionarie.

Dove nasce Leonardo da Vinci?

Molti collegano Leonardo a Firenze. È curioso, però, perché Leonardo non nasce a Firenze, ma in provincia. Passa inoltre gran parte della sua vita fuori da Firenze e viaggia molto. Ma parliamo dopo di questo. Torniamo un momento alla sua infanzia.

Leonardo da Vinci nasce ad Anchiano, un paesino nella campagna toscana, il 15 aprile del 1452. Vive però in un altro paesino a 30 km da Firenze, che si chiama Vinci. Da qui arriva il suo nome: Leonardo da Vinci. Vive qui per i primi 12 anni della sua vita prima di trasferirsi a Firenze e inziare la sua formazione nella bottega di Andrea Verrocchio.

In campagna, in tenera età, cioè molto giovane, divide il suo tempo fra la casa della madre e la casa del nonno. Pochi sanno forse che Leonardo era un figlio illegittimo, era nato da una relazione extraconiugale del padre. Per questo motivo, il padre non lo ha mai riconosciuto. C’è da dire però che il padre si è sempre occupato della formazione del figlio ed è lui che lo porta a Firenze quando Leonardo ha 12 anni.

I primi anni sono molto importanti per il genio che crescerà. Leonardo, infatti, passa molto tempo nella natura e impara a conoscere un lato del mondo che per tutta la vita sarà suo maestro.

Essendo figlio illegittimo, Leonardo non aveva potuto seguire gli studi classici. Non aveva studiato il latino e non era entrato in contatto con gli autori classici nella loro forma originale.

Da adulto Leonardo proverà a studiare il latino da autodidatta, ma con molta fatica. Il latino in quel periodo era importante, perché era la lingua della scienza, la lingua degli accademici, degli intellettuali. E per entrare nella discussione scientifica era necessario conoscere il latino. Leonardo compensa però questa sua mancanza di studi classici con l’osservazione, il disegno e lo studio della Natura. La Natura sarà sempre sua maestra.

Vediamo in lui e nel suo lavoro il primo tentativo di fondere teoria e pratica, che precede il Metodo Scientifico.

Dovete pensare infatti che nel Rinascimento la Scienza non era una materia definita come oggi. Arte, cultura, ingegneria e pittura erano unite e non esisteva una precisa separazione dei sapere. Tutto era Scienza. Possiamo dire che la parola Scienza indicava le nozioni, la conoscenza necessaria per fare qualcosa. La Scienza della pittura, la Scienza del disegno, ecc.

È sempre incredibile per me pensare che il mondo che vedo oggi e le parole che uso in italiano tutti i giorni, avevano solo pochi anni fa, qualche centinaio di anni fa, un altro significato.

La parola Scienza, ad esempio, ha cambiato completamente il suo significato dopo Galileo Galilei.

Già Leonardo però anticipa in qualche modo il metodo scientifico. Come? Leonardo dà importanza alla sperimentazione. Leonardo prova a fondere, a unire, teoria e pratica. Intuisce che per dimostrare qualcosa deve ripetere gli esperimenti più volte. Capisce l’importanza della matematica. Siccome non aveva una conoscenza profonda della matematica, si affida molto al disegno e alla geometria per approfondire le sue scoperte.

Torniamo però un attimo alla sua vita

A 12 anni Leonardo va a Firenze e inizia a lavorare nella bottega del Verrocchio, a quel tempo una delle più famose botteghe della città.

Cos’era una bottega nel Rinascimento?

Una bottega era un luogo di formazione e di lavoro. Era una vera e propria impresa dove i giovani artisti imparavano da un maestro. La bottega riceveva degli ordini e delle commissioni differenti, da quadri e opere d’arte a veri e propri disegni di architettura.

La bottega dove studia Leonardo, quella del Verrocchio, è una delle più importanti del Rinascimento. Oltre a pittura, scultura e architettura qui i pupilli possono studiare anche musica, ottica e botanica. Si formano nella Bottega del Verrocchio, oltre a Leonardo, Perugino e Botticelli.

Nella bottega il giovane Leonardo inizia dal basso: cioè prepara gli strumenti e i colori prima, osserva. Si forma prima di tutto nel disegno. Il disegno è infatti la prima finestra sul mondo, è un modo pratico di osservare la realtà ed elaborarla.

Leonardo ha però anche la possibilità di assistere e partecipare alla posa della grande sfera di rame sulla cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze. Questa sfera era stata preparata da Brunelleschi. Il posizionamento sulla cupola è un lavoro di ingegneria, con gru e macchine. Questo è il primo contatto di Leonardo con le sue amate macchine. Per gran parte della sua vita infatti, il genio rinascimentale si dedica al disegno e alla costruzione di macchine. Quelle più famose sono le macchine volanti.  Sarà, però, poi a Milano che Leonardo potrà dedicarsi all’ingegneria e toccherà l’apice della sua carriera.

Poco prima di compiere 30 anni, infatti, Leonardo abbandona Firenze. Parte per Milano e si propone a Ludovico il Moro. Vuole iniziare una nuova vita e nella sua lettera di presentazione si propone più come ingegnere che come artista. A Milano inizia un’attività do progettista di macchine: macchine per il teatro prima di tutto e poi per la guerra, per il volo e altri tipi di marchingegni.

Leonardo, pensate, vive a Milano per più di 25 anni. Spesso colleghiamo subito la città di Firenze a Leonardo da Vinci. In realtà, se è vero che a Firenze Leonardo si è formato, è altrettanto vero che a Milano ha raggiunto il suo massimo successo come artista e progettista.

A Milano ci sono ancora segni della sua opera.

L’opera più conosciuta che riceve visitatori da tutto il mondo è forse il dipinto de L’ultima cena. Il cenacolo di Leonardo è ancora oggi a Milano, nel convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie. Se passate per Milano e volete vedere quest’opera vi consiglio di prenotare con anticipo.

Comunque, il Cenacolo è rivoluzionario e racchiude in sè quello spirito di osservazione e analisi che è caratteristico del genio di Leonardo. Il Cenacolo è un esperimento psicologico. Perchè?

Leonardo decide di rappresentare gli apostoli in un momento particolare: Gesù ha appena detto che qualcuno lo avrebbe tradito.

Questo momento drammatico nella storia del Nuovo Testamento ed è quindi una scusa per Leonardo per analizzare le reazioni emotive dei personaggi. Mentre prepara quest’opera Leonardo non è solo artista, ma anche psicologo. Usa le sue capacità per rappresentare “i moti dell’animo”, come lui li chiama.

Ci sono nel quadro tutti i sentimenti umani: rabbia, paura, stupore, incredulità, sorpresa. Non solo nei volti, nei visi, nelle facce, ma anche nei movimenti del corpo. I gesti rappresentano il mondo interiore dei personaggi. E la pittura è per Leonardo il mezzo per leggere e rappresentare la realtà in tutti i suoi dettagli.

Potremmo andare avanti ore e giorni a raccontare la vita di Leonardo. Ma questo episodio non può essere troppo lungo, se no vi stancate di me!

Quindi parlerò di un ultimo aspetto che mi piace e mi interessa: l’aspetto di Leonardo scrittore e di lettore.

Leonardo scrive per tutta la sua vita. Ci lascia migliaia di pagine scritte e disegnate, pagine bellissime ora sparse in tutto il mondo.

Scrive di tutto: filosofia, matematica, natura. Scrive poco però di se stesso. Molti studi che conduceva erano personali e probabilmente sapeva che era difficile poter condividere queste scoperte con qualcuno di contemporaneo a lui.

La sua sete di conoscenza era immensa e scrivere è un mezzo per imparare e osservare. Insieme ovviamente al suo amato disegno.

Se sarai solo sarai tutto tuo” scrive lo stesso Leonardo in una nota nel Trattato della Pittura, l’unica sua opera completata e pubblicata.

Leonardo aveva in parte una vita solitaria, però non dobbiamo pensare a un Leonardo asociale. I contemporanei lo descrivono come una persona socievole e capace di stare in società. Elegante, bello, un uomo che teneva molto al suo aspetto.

Era anche un uomo ambizioso, però forse questo è un aspetto fondamentale del suo carattere. L’ambizione lo porta a sperimentare, per scoprire qualcosa – sì – ma anche per lasciare un ricordo di sè nella mente degli altri.

Era geloso dei suoi quaderni e non li lasciava consultare ad altri. Non usava però linguaggi in codice. Usava anagrammi solo quando voleva nascondere un nome particolare, sporadicamente.

Come scriveva? Sappiamo sicuramente che poteva scrivere con entrambe le mani, con tutte e due le mani. Sappiamo anche che non usava una comune penna d’oca, come era comune ai tempi, ma un prototipo di penna stilografica che lui stesso aveva inventato.

Quando prendeva appunti per strada, e lo faceva spesso, usava un carboncino o una matita.

Scrive di tutto, in modo interrotto e non continuo. Il fisico Massimo Temporelli nel suo podcast Fucking genius usa un termine che mi piace molto:  lui dice che Leonardo ha un sapere linkato, dove ogni esperienza è collegata a un’altra.

Mi piace perché ricorda la nostra forma di imparare oggi, pensateci, attraverso link e collegamenti. Abbiamo già parlato in passato di Artusi e del suo metodo di fare, di scrivere e di ricevere commenti dai suoi lettori simile a un blog, oggi parliamo di Leonardo e parliamo di sapere “linkato”. Mi piace pensare che Leonardo, con i suoi taccuini, un po’ anticipa questo.

Il suo apprendimento non è lineare, ma spesso salta da un argomento a un altro; un po’ come facciamo oggi, con i link su internet.

Omo sanza lettere

In una pagina del codice atlantico Leonardo si definisce omo sanza lettere”, uomo senza lettere. Questo commento un po’ amaro si riferisce al fatto che Leonardo non ha studiato. Il latino nel Rinascimento permetteva di accedere ai classici, come abbiamo detto. Con classici intendo tutti i grandi autori del passato. Nelle corti e nelle università gli intellettuali parlavano il latino. E Leonardo sentiva  che questo lato un po’ gli mancava.

Nei quaderni di Leonardo, infatti, ci sono molti esercizi in latino e sappiamo che, appunto, lui stesso sente questa mancanza.

Da quando arriva a Milano inizia a leggere i testi antichi per imparare quello che è prodotto nel passato. Sappiamo che all’inizio del 1500 Leonardo ha nella sua biblioteca circa duecento testi, duecento libri. Questa è una biblioteca molto grande per l’epoca. Aveva, fra i libri, anche la Divina Commedia, Tolomeo, Plinio.

Insomma, Leonardo è un uomo affascinante, un intellettuale molto dotato e un genio senza confini. Ci sono molte altre cose di cui vorrei parlare: ad esempio gli studi di anatomia che Leonardo doveva fare in segreto, gli ultimi anni della sua vita, il destino dei suoi taccuini. Dove sono finiti tutti i suoi taccuini? Che storia hanno avuto? Però per oggi però mi fermo qui, spero di aver reso omaggio a uno dei grandi geni dell’umanità.

Se state studiando l’italiano, trovate la trascrizione di questo episodio sul sito www.speakitaliano.org. Io sono Linda e per oggi vi saluto e vi auguro una buona settimana.

Fonti e link utili:

Ciao!

Ciao, sono Linda.
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